Raduni, non feste: lo dice la Treccani Il decreto è proprio contro le riunioni. di Patrizio Gonnella

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Chi si sorprende della violenza fa il gioco dei violenti. Chi si sorprende della nuova norma sui raduni fa il gioco di chi l’ha pensata, proposta, approvata. Neanche nel Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza del 1931 si arrivò a scrivere qualcosa del genere.

In primo luogo l’articolo è scritto in modo sciatto e in un italiano claudicante. Sarà un buon esempio per quei professori che a lezione di diritto vorranno spiegare agli studenti come non si deve scrivere una norma penale. Siamo molto lontani da quella necessità di chiarezza invocata da Cesare Beccaria nel lontano 1764. Con il nuovo articolo 434-bis siamo al primitivismo linguistico che potrebbe funzionare per la comunicazione social ma non per una legge che i giudici dovranno applicare.

La norma parte con un’espressione tautologica. Si scrive letteralmente che l’invasione di terreni o edifici consiste in un’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui. Troviamo domanda e risposta all’interno della stessa norma, come se fossimo a un quiz. Ogni reato dovrebbe punire un’azione o un’omissione. In questo caso essa consisterebbe in un’invasione. Sarà la giurisprudenza a dover distinguere ciò che è ingresso da ciò che è invasione. Quest’ultima sembrerebbe rimandare a pratiche belliche. Se un certo numero di persone alla spicciolata, senza danneggiare cose o persone, entra in un terreno altrui per raccogliere i fichi e non per ascoltare musica techno, è accusabile di invasione?

L’invasione, secondo il Governo, deve essere finalizzata a un raduno. Il vocabolario Treccani ci aiuta a definire la parola raduno. Radunare significa «riunire insieme, raccogliere in uno stesso luogo persone sparse». Dunque si punisce l’invasione funzionale a una riunione. Non un concerto, non una festa, ma una riunione. Proprio quella riunione che i costituenti hanno protetto all’articolo 17 prevedendo che «I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi». Le autorità possono vietarle, in base alla Costituzione, soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.

Fino ad ora la fattispecie è totalmente priva di quella tassatività che ogni norma penale dovrebbe avere. Una tassatività che si liquefa nel passaggio successivo dell’articolo 434-bis. Esso prevede che il raduno per essere punito deve essere pericoloso per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica. Siamo dunque al classico reato di pericolo, la cui identificazione è lasciata del tutto alle forze dell’ordine, in prima battuta, e ai giudici successivamente. Si demanda di fatto alle forze di Polizia la prognosi intorno ai pericoli della riunione. Niente di definito, niente di tassativo, niente di chiaro. Tutto evanescente. Così il diritto penale perde certezza. La vaghezza nel diritto penale è il primo passo verso quel sostanzialismo che ci allontana dal principio di legalità e dalla democrazia. Il principio di legalità in senso stretto implica anche che per esservi una punizione debba esserci un’offesa a un bene o interesse costituzionalmente rilevante. Qua l’unico bene violato – la libertà di riunirsi – appartiene invece ai potenziali delinquenti.

Arriviamo alle sanzioni. La norma prevede fino a sei anni per chi promuove o organizza l’invasione. Una pena spropositata, addirittura superiore rispetto a quella prevista per il delitto di corruzione. L’indeterminatezza della norma trova la sua massima espressione nel comma seguente: «per il solo fatto di partecipare all’invasione la pena è diminuita». Che significa partecipare all’invasione? Ne risponde anche chi passa lì per caso, chi vende le bevande al raduno, chi balla per soli pochi minuti, chi entra ad ascoltare una lezione durante un’occupazione studentesca?

Inoltre per esservi raduno pericoloso, secondo il Governo, le persone devono essere almeno cinquanta. Un numero scelto non di certo pensando ai rave (il limite avrebbe dovuto essere di almeno mille persone) ma ad altro tipo di riunioni. Infine, nella nuova legge addirittura si evocano le misure di prevenzione anti-mafia. Forse è un po’ troppo per chi va a un rave. La norma è mal scritta, per nulla tassativa. Viola il principio di legalità in senso stretto. È sproporzionata nelle pene previste (altro tema di rilevanza costituzionale).

Non decidono i ministri quale sarà il suo campo di applicazione. La norma vive di vita propria una volta approvata. Se mai comunque fosse usata contro i ragazzi che frequentano i rave, avremmo una nuova ondata di sovraffollamento carcerario che richiederebbe la realizzazione di migliaia di nuovi posti nelle carceri già affollate, con aggravio di spesa per i contribuenti. In conclusione si tratta di una norma pensata male, scritta peggio, che criminalizza il dissenso e mira alla repressione di stili di vita giovanili.

fonte: il manifesto – Antigone

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