Sulla Relazione 2022 del Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale. Il tempo di prendersi cura della salute mentale, insieme. Pietro Pellegrini, Giuseppina Paulillo, Anna Pellegrini

Introduzione

La Relazione al Parlamento 2022 del Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale (Relazione)[3] è, come scrive Riccardo De Vito,[4] una “miniera d’oro”.

La bellezza e la ricchezza dei contributi, incentrati sul tempo, possono costituire i riferimenti per affrontare l’inesprimibile tempo del dolore mentale e relazionale colto nella sua essenza profondamente umana.

Prevenire ed alleviare le sofferenze evitabili dovrebbe essere un compito congiunto, per fare dell’esperienza del tempo dell’altro qualcosa anche di proprio.

In questo legame irriducibile del comune destino si articolano le co-esistenze, il senso del vivere e del morire, che ogni giorno permeano i tempi di ciascuno, uniti insieme in un cammino incerto nel quale la provvisorietà e il limite sono ineludibili.

E’ tempo di prendersi cura della salute mentale e del benessere di ogni persona che vive l’esperienza della privazione della libertà in una comunità e di farlo in modo unitario, cioè riconnettendo ciò che rischia di essere frammentato, disperso, polverizzato, perdendo così la possibilità di una narrazione collettiva, una rimembranza che permette di dare un senso.

In questo quadro un primo elemento molto significativo, inquietante è dato dal numero dei suicidi nei detenuti che resta alto e sostanzialmente invariato rispetto al 2020 quando sono stati 62, pari a 1,11 per mille detenuti. Nel 2021 sono stati 59, pari a 1,10 per mille: 110 per 100 mila, contro una media nazionale di 6 per 100mila, 18 volte.

Una condizione di rischio che riguarda anche chi lavora in carcere e che per gravità e dimensioni, non si può ridurre al tema dei disturbi mentali, il quale è in grado di spiegare solo una parte modesta dell’intero fenomeno.

Il suicidio è “un evento avverso di particolare gravità, potenzialmente indicativo di un serio malfunzionamento del sistema, che può comportare la morte o grave danno al paziente e che determina una perdita di fiducia dei cittadini nel sistema sanitario. Per la sua gravità, è sufficiente che si verifichi una sola volta perché si renda opportuna un’indagine immediata per accertare quali fattori eliminabili o riducibili lo abbiano causato o vi abbiano contribuito e determini l’implementazione di adeguate misure correttive da parte dell’organizzazione.”[5]

Occorre chiedersi da dove arriva la perdita di ogni speranza, dove sorge e come si struttura quel vissuto di “dolore mentale intollerabile” che solo la morte può sopprimere. Dove stanno le possibilità di essere speranza? Come si può migliorare l’organizzazione? Proposte interessanti vengono dalla Commissione per l’innovazione del sistema penitenziario, voluta dalla Ministra della Giustizia Marta Cartabia e presieduta da Marco Ruotolo.

Prestare attenzione alla vita vissuta, a esistenze nella solitudine immerse nel vuoto e nella noia, appese ad una domanda, ad una visita, ad un barlume di identità: un’anomia che l’istituzione imprime alle persone e al contempo le stigmatizza. Le sofferenze della detenzione, tanto note da essere date quasi per scontate, sono tali per tutti coloro che si trovano a viverle e continuano a farlo anche quando la privazione della libertà è cessata.

La Relazione propone un avanzamento culturale nell’intendere la funzione della pena, vista non solo come espiazione, rieducazione e reintegrazione sociale ma anche come possibile riparazione e riconciliazione.[6] Una visione utile ad affrontare i problemi nella loro complessità e unitarietà, visti nella loro co-esistenza, in una dialettica talora contraddittoria ma capace di sintonie, conciliazioni se vissute in relazioni profondamente umane nate laddove sembra svanita ogni speranza.[7] Va condiviso il tempo della responsabilità basato sul riconoscimento reciproco e non sul proscioglimento, sull’incapacità di intendere e volere, che annulla la persona facendola diventare un pericolo da temere e controllare.

La forza di questa impostazione sta nel cogliere i diversi punti critici in una luce nuova dove i problemi, pure puntualmente citati, vengono visti con una fiducia di fondo nelle qualità umane di tutte le persone ancor prima di reato, professionalità, etica, cultura e fede. Solo l’incontro e le relazioni cambiano le persone e le situazioni se si ha la capacità e la pazienza del dialogo che produce salute mentale e benessere di comunità.

Possiamo essere costruttori di tutto questo?

Il presente del passato

“Ci sono ombre che ciclicamente tornano e che rendono sempre poco visibili e nitidi gli oggetti su cui si posano. Questa immagine ben si addice al dibattito che ritorna di tanto in tanto attorno alla paura delle diversità, dei disturbi comportamentali e, in particolare, delle persone con grave disagio psichico” (pag. 54).

Il Garante rileva lo stato ancora ‘acerbo’ dell’attuazione della legge n. 81/2014 che ha portato alla chiusura degli OPG, legato al persistere di una cultura ancora non adeguata a dare realizzazione alla riforma recentemente oggetto della Sentenza n.22/2022 della Corte Costituzionale la quale, pur riconoscendone la costituzionalità, “prefigura interventi correttivi al sistema che, se letti in modo restrittivo, possono essere interpretati come un sostegno per un passo all’indietro di chi in fondo non ha condiviso i principi ideali e realmente riformatori della legge di chiusura degli Opg”. (p. 57).

La riflessione del Garante sul concetto di residualità, interroga tutti sui numeri, sulle prassi, sulla priorità attribuita al ricovero in REMS come misura di risposta alla commissione di reati anche di minore gravità, sulla presenza in REMS di persone dimissibili.

Il collegamento tra la lista di attesa e la indisponibilità di posti REMS, e di conseguenza la presenza all’interno del carcere di persone malate di mente, anche alla luce del pronunciamento di condanna della Corte EDU Sy contro Italia, rischia di essere fuorviante dimenticando che, se non cambiano le prassi, i posti in più vengono tutti rapidamente saturati secondo la dinamica dell’espansione delle istituzioni totali. Ne ha senso aumentare i posti REMS,ledendo il principio di territorialità, come è stato fatto con la recente apertura della REMS di Calice al Cornoviglio.

Eppur si muove

La polarizzazione del dibattito sulle REMS non evidenzia il grande sforzo in atto per creare un sistema in grado di assicurare il diritto alla salute della persona a prescindere dalla sua posizione giuridica. Questo interroga  sulla funzione della misura giudiziaria e sul come garantire i diritti ed assicurare la qualità degli interventi sociosanitari. Serve una chiarezza di mandati, terapeutico e giudiziario, collocati in una visione unitaria di un sistema che abbia come faro la tutela dei diritti, la necessità di assicurarli tutti insieme.

La riforma richiede un lavoro gruppale, condiviso, non fatto di decisioni solitarie, unilaterali, magari comunicate in modo perentorio, talora tardivo e incomprensibile o vago nella possibilità di effettiva attuazione. Al contrario i tempi vanno condivisi, armonizzati mediante strumenti quali i protocolli, tavoli di concertazione, un percorso tra disposizione e realizzazione dei provvedimenti. L’incontro tra giustizia e sanità è l’occasione per un’innovazione delle prassi, per una collaborazione più proficua.

Delineare un sistema unitario della salute mentale significa responsabilizzare tutte le persone, fare prevenzione, riducendo gli accessi in carcere, proteggere e sostenere le persone preservando le relazioni significative (anche tramite le nuove tecnologie) sapendo quanto è patogena la deprivazione affettiva, sessuale  e sensoriale.

Dopo i dati sui suicidi,  in tema di salute mentale, si possono fare alcune considerazioni.

  1. a) In primis si dovrebbe accendere l’attenzione sulle Articolazioni Tutela Salute Mentale (ATSM )presenti in 32 istituti su 190 ed andrebbe valutata la loro distribuzione al fine di assicurare il rispetto del principio generale della territorialità che è essenziale per la presa in cura dei DSM.[8]

Le Articolazioni tutela salute mentale nel 2020 ospitavano un totale di 298 persone (maschi 262, femmine 21 disabili 1 femmina e 14 maschi) diminuite nel 2021 a 262 (maschi 232, femmine 21, disabili 1 femmina e 8 maschi). Quindi si può constatare una riduzione di 36 persone pari al -12% mentre i detenuti disabili sono passati da 15 a 9 (-30%).

Dopo la chiusura del reparto “Sestante” presso il Carcere “Le Molinette” qual è la qualità della cura, della vita nelle ATSM?

Al 22 marzo 2022 negli Istituti di Pena erano presenti 381 persone con “disagio psichico accertato” pari allo 0,7% dei 53.758 detenuti.  Un disagio “accertato”, cioè inquadrato in precisi articoli del codice penale o del DPR 230/2000[9], che in passato finiva anche in OPG. Su 381, 44 pazienti (11,5%) erano indicati come “in attesa di Rems” (dizione giuridicamente non sostenibile) e cioè destinatari di una misura di sicurezza sulla base di artt. 206, 219 e 222 c.p.

  1. b) Un altro dato riportato nella Relazione è quello relativo alla lista di attesa per l’esecuzione della misura di sicurezza detentiva.

Nel 2020 la lista di attesa era composta da 770 persone in libertà e 65 detenuti sine titulo, quindi in totale 835 persone. Nel 2021 le persone in lista sono 605 di cui 42 detenute +2 piantonate in SPDC. Quindi una riduzione della lista da 835 a 605 (-230  pari -27,5%) mentre i detenuti “sine titulo” sono passati da 65 a 44 (in realtà 42), quindi -23 pari ad una riduzione del 36,8%.

La lista di attesa dell’anno 2021 consta di 403 persone destinatarie di misure di sicurezza provvisorie[10] su 605 (pari al 66% del totale). In aggiunta, si può osservare che, al 25 marzo 2022, su 630 il 64% di essi è ancora in attesa del primo giudizio.

Va anche precisato che, grazie al lavoro della Cabina di regia istituita presso Agenas, il numero di persone ristrette sine titulo si è notevolmente ridotto:  64 persone ristrette sine titulo al 5 luglio 2021 sono passate a 6 al 23 febbraio 2022. Solo in parte sono state inserite in REMS, in quanto 23 (35,9%) hanno usufruito della libertà vigilata o sono state poste in libertà. Segno tangibile che la detenzioni sine titulo può trovare risposte diverse dall’inserimento in REMS. Inoltre i 64 detenuti sine titulo presenti il 5 luglio 2021 per oltre il 90% avevano misure di sicurezza detentive provvisorie. La lista di attesa è concentrata per il 72,9% in sei regioni (Sicilia, Calabria, Puglia, Lazio e Lomabardia).

In sintesi nell’ultimo anno si è verificato una riduzione delle persone in ATSM (- 12%), della lista di attesa (-27,5%) e in percentuale ancor maggiore per le persone detenute (-36,8%).  Riduzioni significative: come interpretarle?

  1. c) L’utilizzo delle REMS in relazione alla posizione giuridica evidenzia che le persone con misure ex art 222 c.p nel 2021 erano 237 contro le 258 dell’anno precedente con una riduzione del 8,1%. Quindi calano le misure di sicurezza detentive definitive ex art 222 c.p che sono il 41,5 % degli ospiti delle REMS.

Pressoché stabile è il dato delle persone con misure ex art 219 c.p., le quali sono 68 contro le 67 dell’anno precedente e rappresentano l’11,9%  del totale degli ospiti delle REMS. Trattandosi di persone seminferme che hanno già scontato una pena in carcere, viene da chiedersi che senso abbia il loro ingresso in REMS e perché non sia stato possibile un percorso alternativo come prevede la legge 81/2014.

Anche il numero delle persone con misure di sicurezza detentive provvisorie (ex art 206 c.p.), si mostra stabile: esse sono state 244 nel 2020 e 243 nel 2021, rappresentando il 42,5% del totale degli ospiti REMS.

La Relazione evidenzia una progressiva crescita del tempo medio di permanenza in REMS: 452 giorni rilevati nel 2018, 548 nel 2019, 634 nel 2020, a 708 nel 2021. Dal 2018 al 2021, perciò, vi è stato un incremento del 55,3%. Tali dati andrebbero approfonditi per comprendere le ragioni dell’allungamento delle permanenze. Tra le possibili cause di tale aumento vi potrebbero essere: la gravità dei reati, assenza di progetti specie per le misure provvisorie, il contenuto numero dei PTRI, l’assenza di prospettive esterne per senza tetto e stranieri (circa il 10% degli ospiti).

Tuttavia il sistema resta accessibile, in termini di nuovi ingressi e di dimissioni: nel 2021 vi sono stati 298 ingressi (contro i 237 del 2020) con un aumento del 25,7%. Inoltre, si registrano278 dimissioni, ossia un dato quasi sovrapponibile alle 273 del 2020.

Si possono osservare alcune criticità nei tempi medi di esecutività del provvedimento di dimissione degli ospiti in Rems negli ultimi due anni emerge dalla rilevazione al 30.9.2021. Infatti a fronte di una media nazionale di 26,8 giorni, vi sono tempi ben superiori in diverse REMS del Lazio (60 giorni), della Sicilia (90-180 giorni) e una REMS della Puglia (con 150 giorni). Elementi che possono essere migliorati perfezionando le comunicazioni e superando la prassi delle Licenze Finali Esperimento.

Serve una riflessione profonda sull’utilizzo delle REMS in quanto dai dati emerge che sono utilizzate per il 41,5% per persone ex art. 222, quindi prosciolte, 11,9% per seminfermi di mente, 42,5% da misure provvisorie e 4,1% ai sensi dell’art. 212. Quindi popolazioni con situazioni molto differenti: dall’esecuzione a volte assai poco progettuale (per i seminfermi) a quella cautelare delle misure provvisorie. Un mix che ha importanti implicazioni anche per quanto attiene la cura e la riabilitazione. Un sistema che può essere reso ancora più efficiente.

Pur con questi rilevi, tutte le difficoltà e i limitati finanziamenti dei DSM si sta attuando la riforma e si sta realizzando un sistema di cura e giudiziario di comunità. Infatti, le persone con libertà vigilata al 30 aprile 2022 sono 4567, di cui 4298 maschi e 269 femmine. Le persone affidate al servizio sociale sono 21.464( 19.543 maschie 1921 femmine).

Fare assieme: tempo condiviso

Laddove si è sviluppato il lavoro congiunto, il dialogo tra giustizia e servizio sanitario, tra magistratura e dipartimento di salute mentale, come auspicato dal Consiglio Superiore della Magistratura,la situazione tende ad essere migliore. Un lavoro fatto di relazioni, di dialogo, più che dei pur necessariprotocolli, accordi, atti ufficiali. Si è creato un significativo movimento interistituzionale, diffuso, motivato, capace di affrontare e risolvere i diversi problemi.

La collaborazione interistituzionale è stata promossa dall’istituzione nel luglio 2021 della “Cabina di regiacostituita presso Agenas perproblematiche inerenti i soggetti ristretti in attesa di internamento in REMS” che ha proficuamente affrontato il problema dei detenuti sine titulo e predisposto importanti proposte per risolvere il problema delle liste di attesa.

La costituzione da parte del ministero della Salute[11]dell’Organismo di coordinamento relativo al processo di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, dopo la fondamentale attività effettuata nel 2016-17 dal Commissario Franco Corleone,ha ridato un significativo riferimento nazionale e al contempo può permettere un confronto tra Ministeri della salute, della giustizia e delle regioni.

A questi si aggiungono i Tavoli attivati dalla Conferenza delle Regioni. Quindi, si osserva la presenza di una pluralità di iniziative che suscitano speranza, e la cui efficacia dipende non solo dalla possibilità di facilitare la collaborazione tra istituzioni ma ancor più dalla capacità di mettersi in sintonia con le pratiche dei soggetti in prima linea, giustizia e psichiatria, con attenzione a utenti e famiglie prendendo in carico efficacemente ogni singola situazione.

La legge n. 81/2014, come del resto la l.n. 180/1978, è una legge di principi, insatura, che quindi va riempita di prassi in una dinamica che sposta in avantile coordinate del sistema, sganciandole dalla routine. Un esempio è la gestione delle liste di attesa. Un tema che la giustizia vive male perché non è abituata: il posto deve esserci sempre, in sovrappiù o altrove, anche lontano non importa. Una giustizia con prassi a velocità variabile, che oscilla tra un attendere con scadenze sempre spostabili, quasi senza tempo alle quale ci si rassegna e un fare subito perentorio, “senza se e ma”, in nome della legge. Le liste di attesa, abituali in sanità, sono una grande occasione per aumentare appropriatezza, qualità, efficienza dei percorsi di cura e giudiziari che possono azzerarle.

Sul piano delle prassi occorre un coordinamento tra giustizia e psichiatriche realizzi forme di collaborazione strutturate a livello provinciale, regionale e coordinate dall’Organismo nazionale. Una Consensus Conference nazionale, a nostro avviso, potrebbe portare all’individuazione delle “Buone prassi” e alla loro diffusione.

Una Consensus conferenceper definire i criteri di priorità, assicurare i diritti e gestire in modo efficace la lista di attesa potrebbe portare a superare il mero criterio temporale, introducendo altri elementi come: la tipologia del reato o la gravità del quadro clinico, la sua trattabilità, i bisogni di sicurezza e controllo. Questo lavoro dovrebbe armonizzare i tempi della giustizia e della psichiatria, a curare non solo la disposizione dei provvedimenti ma anche la loro effettiva esecuzione. I diritti debbono essere assicurati insieme.

Ridurre al minimo o abolire il ricorso a misure di sicurezza detentive provvisorie, concertare i tempi tra giustizia e psichiatria potrebbe risolvere larga parte dei problemi mediante prassi fondate su protocolli e procedure gestionali condivise (cruscotti, tavoli regionali, nuove tecnologie) e sulla necessità di mantenere residuali Istituti di Pena e le REMS.

Un lavoro congiunto tra magistratura, avvocatura, DAP, UEPE, periti, servizi sociali, psichiatria, Sindaci con il coinvolgimento di utenti, familiari, società civile e Garanti può essere la base per una crescita culturale e al contempo la migliore condivisione dei percorsi e la definizione delle condizioni per la loro realizzazione.

In questo quadro possono trovare spazio le competenze del Ministero della Giustizia, la questione del Regolamento unico delle REMS[12], inteso come una cornice per i diritti e i doveri, la declinazione dei contenuti di ogni misura giudiziaria e degli interventi sanitari. Questi richiedono consenso (“nulla su di me senza di me”)[13], protagonismo, responsabilità e speranza in quanto sappiamo che non vi può essere cura nella coercizione. Un dato questo ineludibile e del quale anche la giustizia deve avere consapevolezza. Se la misura penale si può, in un qualche modo, imporre non è così per la terapia. Non solo, ma anche in ambito giudiziario, vi sono sempre più esperienze volte a mediare, promuovere patti, messe alla prova. In questo quadro la responsabilità reciproca diviene l’elemento unificante del “doppio patto” per terapia e giustizia.

Diviene quindi fondamentale l’elemento della condivisione, anche dei tempi, tra tutti i soggetti, nella co-esistenza, intesa come donazione reciproca di tempo, senso e speranza. Vuol dire pensare l’altro, nelle sue esperienze vissute, incarnate, quando si diagnostica e prescrive; vuol dire creare uno spazio mentale comune, dell’incontro dove dolore e speranza, possibile e impossibile, vita e morte, passato, presente e futuro, si condensano e la freccia del tempo può andare avanti o indietro, diventare circolare o gli orologi, si liquefanno in favore della relatività o della profondità del presente.  Il ritrovamento di Sé tramite Aion, un tempo trascendente e assoluto,  diverso da Chronos e Kairos.[14] Quindi il tempo come co-esistenza di vissuti, la relazione con l’altro come parte di se stessi. Vedere tra le righe delle carte i volti e le vite delle persone, cogliere il loro vissuto, l’angoscia dell’attesa di un provvedimento, di una diagnosi, di un’ordinanza. “Il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura” (legge 219/2017), un’affermazione che dovrebbe valere per tutti coloro che si prendono cura.

La bussola dei diritti e doveri: tra passato e futuro

Se la l.n. 180/1978 ha reso i malati mentali “cittadini”, ancora molti sono i diritti violati.[15] Il doppio binario, la pericolosità sociale sono un costrutto assai discutibile sul piano scientifico. Le misure di sicurezza  detentive si mostrano, di fatto, peggio della detenzione in quanto non consentono di usufruire di forme alternative, nè dei benefici (presofferto, 45 giorni di sconto per anno  ecc.), le misure di sicurezza detentive provvisorie, di fatto cautelari sono applicate senza certezza dei tempi e senza garanzie di difesa, la libertà vigilata vien prorogata sine die anche per reati bagatellari. Queste ingiustizie, che si leggono nei volti, entrano nella profondità dei mondi mentali, fanno male, si radicano nel tempo vissuto.

Perché non siamo in grado di rimuoverle? Si tratta di un dolore evitabile come quello che deriva dall’ingiusta detenzione, giustamente portata all’attenzione e dall’abbandono, spesso dimenticato da tutti.

Riportare, anche nella privazione della libertà, il tema del diritto a scegliere, all’affettività e alla sessualità. Assicurare i diritti di cittadinanza (reddito, lavoro, casa) mediante il coinvolgimento degli Enti locali, Prefetture, società civile, Garanti nazionale e regionale.

Il legislatore dovrebbe realizzare una riforma organica del codice penale o per lo meno abolire la
misura di sicurezza detentiva provvisoria. La via maestra è il superamento del doppio binario e in questo
senso va la proposta dell’on. Magi n. 2939/2021.

Mantenendo il doppio binario si potrebbe per lo meno adeguare il codice penale e la procedura penale nei
punti più critici: abolire le misure di sicurezza detentive provvisorie ed assicurare le alternative previste
dalla legge n. 67/2014 alla misura di sicurezza detentiva. A nostro avviso, di dovrebbero riformare la legge sulle droghe e favorire le politiche alternative alla detenzione.

In attesa di un intervento da parte del legislatore, si può osservare che, nella vita in via ordinaria, operativa, quotidiana è possibile rendere viventi diritti e doveri come base per il riconoscimento delle persone e per la loro partecipazione responsabile ad una comunità democratica.[16]La prima risorsa sono le persone; altre possonoderivare da percorsi di riconversione, adattamento, miglioramento tecnico-professionale.

Chiudere gli OPG non era né facile, né scontato: è stato fatto e il sistema, ancora acerbo, mostra molti segni di possibile maturazione. Non mancano le preoccupazioni di regressione e rimpianti, accentuate dalla mancanza di dialogo, da atteggiamenti difensivi e proiettivi che frammentano e indeboliscono il sistema. Superare i diversi ostacoli, stigmi, le contraddizioni è un compito di tutto il sistema che può farlo nel dialogo, tramite collegamenti, collaborazioni virtuose di ogni istituzione chiamata a collaborare ma anche di tutti i cittadini. Una cura ed una giustizia “partecipata”possono trasformare i limiti in punti di forza in grado di attivare risorse inespresse nella“bestemmia del tempo”[17]cioè in un tempo buttato ogni giorno e farlo invece diventare studio[18], lavoro, impegno sociale, soluzioni alternative e creative.

Occorre trovare un nuovo punto d’incontro, incentrato non su luoghi ma su percorsi delle persone nella comunità, sul tempo vissuto condiviso, reciprocamente donato, restando prossimi, accanto ed accompagnandoci l’un l’altro nelle esperienze e nei cammini erranti della vita.

 

 

Pietro Pellegrini, Giuseppina Paulillo [1] Dipartimento Assistenziale Integrato Salute Mentale Dipendenze Patologiche Ausl di Parma

Anna Pellegrini [2]Dottoressa in Giurisprudenza

[3]https://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/gnpl/pages/it/homepage/pub_rel_par/

[4]Una miniera d’oro: la Relazione al Parlamento 2022 del Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personaledi Riccardo De Vito Questione Giustizia, 26 giugno 2022 https://www.questionegiustizia.it/articolo/una-miniera-d-oro-la-relazione-al-parlamento-2022-del-garante-nazionale-dei-diritti-delle-persone-private-della-liberta-personale?idn=102&idx=28391&idlink=6&utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=20220625

[5] Ministero della Salute e delle Politiche Sociali. Osservatorio Nazionale sugli eventi sentinella. Protocollo per il

Monitoraggio degli Eventi Sentinella, 2009, pag. 41 https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_1783_allegato.pdf

[6]Cartabia M., Cerretti, Un’atra storia inizia qui. Bompiani, 2020

[7]Fassone E. Fine pena ora, Sellerio Ed, 2015

[8] Ad esempio: in base alla capienza regolamentare negli Istituti dell’ Emilia Romagna vi sono2998 posti su 50,866 (pari al 5,8%); Nelle ATSM dell’Emilia Romagna vi sono 49 persone (di cui 48 maschi) su 247 (di cui maschi 232) ospiti di tutte le ATSM italiane. Quindi il 19,8% del totale è in Emilia Romagna.

[9] L’articolo 148 c.p. si riferisce a persone detenute che hanno sviluppato l’infermità psichica in epoca successiva al reato per cui sono state condannate e, in particolare, durante l’esecuzione della pena. Su questo vi è la sentenza n.99/2019 della Corte Costituzionale

L’articolo 111 comma 5 del Dpr 230/2000 identifica la categoria di persone che hanno sviluppato l’infermità psichica nel corso della detenzione, destinate all’assegnazione alle Articolazioni per la tutela della salute mentale.

L’articolo 112 del Dpr 230/2000 identifica la categoria delle persone detenute sottoposte a osservazione finalizzata all’accertamento delle condizioni di infermità psichica.

L’articolo 212 comma 2 c.p. viene utilizzato per identificare le persone che devono eseguire una misura di sicurezza detentiva e che hanno sviluppato un’infermità psichica.

L’articolo 220 c.p. viene utilizzato per identificare le persone che devono eseguire la misura di sicurezza del ricovero in casa di cura e custodia e per le quali il giudice ha disposto che tale ricovero sia eseguito prima dell’esecuzione penale.

[10] Delle 403 persone con misure di sicurezza detentive provvisorie ex art 206 c.p., 369 sono libere e 32 ristrette in carcere e 2 piantonate in SPDC;  Le persone con misure di sicurezza detentive definitive sono 201, di cui 192 libere e 9, ristrette. Una persona detenuta con misure miste.

[11] Decreto del Ministero della Salute 22 settembre 2021

[12] La REMS è una struttura sociosanitaria come dal Decreto del Ministero della Salute 1 ottobre 2012 a gestione esclusivamente sanitaria e con sorveglianza perimetrale demandata alle Forze dell’Ordine e quindi senza Polizia Penitenziaria. Una struttura simile ad altre “Residenze”, strutturalmente connessa ai contesti, integrata nei DSM, permeabile e temporanea, al fine di un utilizzo “residuale”. Concetto quest’ultimo rimarcato anche dalla Corte Costituzionale. Quindi una struttura del DSM che è già andata oltre il proprio mandato (esecuzione delle misure di sicurezza) assumendo una funzione di cura di comunità che deve evolvere in percorsi di inclusione. Una struttura che deve superarsi per non involvere. Non può essere posta al centro del sistema, né assumere funzioni custodiali di lungo termine (30 anni) come indicato dalla recente sentenza Maran di Trieste. Né deve essere l’oggetto del desiderio, l’unica soluzione in quanto è proprio dal riconoscimento della sua residualità possono nascere le alternative. Percorsi di Recovery che vanno coltivati, fatti maturare, censiti, monitorati.

Le esperienze delle REMS sono molto diversificate ma alcuni principi si sono affermati: numero chiuso, territorialità, sostanziale assenza delle contenzioni fisiche. A questi va aggiunto la possibilità che al pari di ogni luogo di cura, ammissioni e dimissioni siano decise dagli psichiatri.

[13] Convenzione ONU Diritti delle persone con disabilità (2006) ratificata con la Legge 18/2009

[14] Tonelli G. Tempo. Il sogno di uccidere Chronos, Feltrinelli, 2021

[15]219)     Pietro Pellegrini, Giuseppina Paulillo, Cecilia Paraggio, Clara Pellegrini, Lorenzo Pelizza, Emanuela Leuci Persone con disturbi mentali in ambito penale. Diritti e doveri: molto resta da fare! L’Altro, Anno XXIV, n. 2 Luglio Dicembre 2021Gennaio-Giugno 2021, 25-30

[16] Barone R (a cura di) Benessere mentale di comunità. Teorie e pratiche dialogiche e democratiche, Franco Angeli Ed. 2020

[17] Don Lorenzo Milani, Tutte le opere, a cura di A. Carfora, V. Oldano, F. Ruozzi, Mondadori Ed, Milano 2017,

[18] Di grande interesse la parte della Relazione su Scuola e Università

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